Agenda 2030, a che punto siamo? L'analisi di GCAP

E' stato presentato a Roma il Rapporto GCAP "Sviluppo Sostenibile: per chi?", facendo luce su contraddizioni e dilemmi nell'ambito dell'Agenda 2030

Sono passati appena tre anni dall’avvio dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, eppure la comunità internazionale sembra già in cospicuo ritardo rispetto al conseguimento dei traguardi posti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. È questo il punto da cui parte l’analisi di “Sviluppo Sostenibile: per chi? Una visione critica per la coerenza delle politiche italiane ed europee”, ossia il I Rapporto di Monitoraggio sull’Agenda 2030 di GCAP Italia, la coalizione italiana contro la povertà che appartiene al Global Call to Action Against Poverty, realizzato a sua volta all’interno del progetto europeo “Make Europe Sustainable for All”.

Il Rapporto di GCAP è stato presentato a Roma il 4 luglio presso la Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, e ha posto il focus su dilemmi e contraddizioni in seno al modo in cui l’Agenda 2030 è stata accolta dalla politica italiana e internazionale, ma suggerisce anche delle soluzioni concrete che allontanino l’alone di ‘astrazione’ che rende i 17 SDGs un elenco di punti e non delle questioni da affrontare nel quotidiano.

Si evince dal Rapporto come sia fondamentale partire da due presupposti essenziali: bisogna coinvolgere la società civile, che è la base del cambiamento quotidiano globale, così come è fondamentale considerare i 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 in maniera sinergica e complementare, e con come compartimenti separati. Il tutto senza prescindere mai dal rispetto dei diritti umani.

La struttura del Rapporto è costituita da sei capitoli, ognuno dei quali analizza i punti dell’Agenda 2030 su cui c’è più bisogno di lavorare a livello strategico, politico e sociale.

Il I Capitolo, ad esempio, analizza la questione della disuguaglianza di genere come fenomeno globale ormai troppo radicato per essere risolto in modo semplice: non a caso si suggerisce di promuovere strategie di controllo del rischio tramite stime periodiche, informazione ed educazione per combattere il sessismo sotto ogni punto di vista.

Il II Capitolo, invece, porta alla luce il lato oscuro del ‘Made in Italy’ del settore tessile, in cui le strategie di frammentazione dei ruoli e dei compiti portano alla violazione dei diritti umani dei lavoratori delocalizzati, nonché a salari che tendono nettamente al ribasso. Il Rapporto, in questo caso, sottolinea quanto sia fondamentale vincolare le imprese al rispetto dei diritti umani e dei lavoratori.

Il III Capitolo è dedicato al commercio internazionale che troppo spesso ancora non rispetta né i diritti umani né l’ambiente, e che vede concentrare il potere nelle mani delle multinazionali a discapito delle piccole e medie imprese. Il Rapporto non ha dubbi: l’Europa dovrebbe vigilare facilitando gli scambi commerciali internazionali ma senza mai penalizzare i diritti umani, sociali, ambientali e lavorativi.

Il IV Capitolo affronta la questione delle migrazioni e del caso italiano ed europeo nel quadro degli SDGs. Il punto focale, senza dubbio, è quello che lega l’Italia alla Libia e l’Europa all’Africa. In particolar modo, si sottolinea come sia limitante una mentalità di apartheid che, per difendere le nostre comunità locali dalle ondate migratorie, non tenga minimamente in conto che i diritti ad una vita dignitosa sono universali, e che una politica di contenimento sulle migrazioni sia profondamente miope, in quanto non prende in considerazione uno sviluppo sostenibile a lungo termine. Vi è necessità di riformare la visione italiana ed europea nel quadro del nuovo Global Compact per le Migrazioni: formando un sistema d’asilo fondato su solidarietà e responsabilità dei Paesi europei, si può dar vita ad una politica efficace e che non si basi su pericolose istigazioni ad una guerra fra poveri.

Il V Capitolo è dedicato all’accelerazione della decarbonizzazione e dell’uso di fonti pulite di energia, minimizzando l’impatto sociale e occupazionale di questi cambiamenti. La politica italiana di transizione non è ancora ben definita, e per questo è fondamentale e urgente una pianificazione strategica e di sistema.

Il VI Capitolo, infine, affronta la questione del commercio delle armi: hanno un effetto positivo sul PIL e sull’occupazione, ma pongono un evidente dilemma etico. È essenziale che la strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile valuti il coinvolgimento dell’Italia nei conflitti locali, evidenziando quanto tutto questo sia assolutamente incompatibile con i criteri dello sviluppo sostenibile e dell’Obiettivo 16, dedicato appunto alla pace.

Alla presentazione del Rapporto, è seguita una Tavola Rotonda in cui tali temi sono stati discussi dai rappresentanti di Istituzioni, mondo accademico e società civile.

Un’analisi lucida, dunque, di quanto ci si è ripromessi ma non si riesce a focalizzare in modo pratico e fattivo. Una fotografia di questi primi tre anni di Agenda 2030 in cui troppi elementi sono stati lasciati come punti in un lungo elenco di target.

Il I Rapporto GCAP, in questo senso, è chiaro: senza una prospettiva realmente trasformativa, il rischio è che il cambiamento tanto agognato in tema di povertà, sfide ambientali, disuguaglianze e cambiamenti climatici, rischi di non avvenire mai.