Donne italiane in Parlamento: un dossier presenta i dati dal 1946 ad oggi

Sono 70 anni che è entrata in vigore la nostra Costituzione: da allora la partecipazione politica femminile è in ascesa, ma la salita si mostra difficile

Il 2 giugno è il giorno della Festa della Repubblica, perché proprio in questa data, nel 1946, gli italiani scelsero con un referendum di far diventare l’Italia una Repubblica costituzionale. Ma il 2 giugno le donne del Belpaese festeggiano due volte: infatti fu proprio quel fatidico 2 giugno 1946 che le italiane, grazie all’entrata in vigore del suffragio universale, accorsero in massa alle urne per votare sia per il Referendum che per le elezioni amministrative. Nel 1948, quindi, entrò in vigore la nostra Costituzione.

Quel giorno è stato un punto di partenza, ma anche un punto di arrivo dopo tutte le battaglie suffragiste di fine ‘800 e dopo l'azione senza sosta di donne del calibro di Anna Kuliscioff, Giuditta Brambilla, Carlotta Clerici e Anna Maria Mozzoni.

Dal 1948 di anni ne sono passati 70, e la partecipazione politica femminile in Italia è stata costantemente in ascesa. I dati per confrontare il connubio ‘donne e politica’ in tutto questo periodo sono stati redatti all’interno di un dossier dell’Ufficio Valutazione Impatto del Senato, dal titolo “Parità vo cercando. 1948-2018. Le donne italiane in 70 anni di elezioni”.

I dati del dossier sono aggiornati al 30 marzo del 2018, e danno risultati incoraggianti ma, purtroppo, non ancora soddisfacenti.

Ma facciamo prima un passo indietro. Le votazioni del 1946 fecero sì che 21 donne su 556 eletti entrassero a far parte dell’Assemblea Costituente, e che alcune di loro partecipassero alla Commissione dei 75 per quella Carta Costituzionale entrata in vigore nel 1948. Il 18 aprile dello stesso anno, le elezioni politiche della prima legislatura permisero a 49 donne di entrare in Parlamento, andando a ricoprire il 5% degli eletti.

Il salto, adesso, può essere fatto in avanti, e ci riconduce al 2018. Cosa è cambiato? Molto, ma non quanto avremmo voluto. La partecipazione politica delle donne italiane all’interno di istituzioni e governo è passata al 35% rispetto a quel fatidico 5% del 1948, ma questo si deve anche e soprattutto alla nuova legge elettorale che stabilisce la rappresentanza di genere. In questo modo, assistiamo attualmente all’elezione di 334 donne, 225 alla Camera e 109 al Senato, per la prima volta presieduto da una donna, Maria Elisabetta Alberta Casellati.

Per ciò che riguarda la presenza di sindaci donne, si è registrato un grande aumento dal 1946, anno in cui ne erano solo 10 in tutta Italia, mentre 40 anni dopo ne sono state registrate 1097, con un’incidenza maggiore nel Nord Italia.

In aumento anche le donne assessori (attualmente 6843), mentre le italiane elette al Parlamento Europeo superano addirittura la media europea con il 39,7%.

Un successo? Quasi. Perché se si fa un confronto più dettagliato, si può notare come le 334 donne elette in Parlamento (35% del totale) siano davvero poche rispetto a tutte coloro che si sono candidate, ossia 4327 (il 45% del totale).

Le leggi a favore della parità politica di genere hanno cominciato ad agire in modo concreto nel 1993 quando, con la legge n. 276, a proposito delle Norme per l’elezione del Senato della Repubblica, si stabilì che il sistema elettorale nazionale dovesse favorire “l’equilibrio della rappresentanza tra donne e uomini”.

Nel 2001-2003 le pari opportunità sono entrate a far parte della Costituzione.

Con la legge n. 52 del 2015 è stato approvato il nuovo sistema elettorale della Camera dei Deputati (l’Italicum), che ha stabilito l’obbligo di rappresentanza paritaria dei due sessi nelle candidature circoscrizionali.

Con la legge n. 165 del 2017, la promozione femminile è diventata un obbligo dei partiti.

Quello che più colpisce di questa situazione è che l’ascesa dell’empowerment politico femminile in Italia abbia più i connotati di una salita in termini di difficoltà, perché avviene senza la spontaneità di una società aperta a sostanziali valori di eguaglianza di genere, ma con il supporto di leggi che tentano di spianare la strada ad una mentalità ancora poco giusta con le donne.

Non a caso, come si evince dal dossier, su ben 18 legislature totali, nessuna donna italiana è mai stata Presidente del Consiglio. Un dato, questo, che spegne gli entusiasmi facili su una situazione che, all’interno di un contesto italiano in cui la donna è penalizzata ancora troppo e in troppi casi, deve ricordarci che i diritti non sono mai una concessione, ma qualcosa da esigere e per cui impegnarsi attivamente.

di Giorgia Martino