Allarme UNICEF istruzione: meno della metà degli adolescenti completa gli studi

A rischio soprattutto le ragazze, i poveri e chi vive in Paesi in stato di emergenza umanitaria

20 settembre 2018

I 17 SDGs hanno come obiettivo un mondo più giusto ed equo, e per questo non si può prescindere da un’istruzione di qualità, che occupa lo spazio del Goal 4 e che influenza a sua volta tutti gli altri. Senza un’istruzione inclusiva e completa, infatti, non c’è ricchezza, non c’è parità di genere, non c’è innovazione e non c’è giustizia.

Eppure, come un serpente che si morde la coda, laddove non c’è ricchezza cade anche la possibilità di dar vita ad una buona scolarizzazione. È questo ciò che emerge anche dal nuovo rapporto UNICEF , il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia. “A future stolen: young and out-of-school” è il titolo del documento che riporta dati sconfortanti, soprattutto se si pensa che siamo a soli 12 anni dall’obiettivo dell’Agenda 2030.

In particolar modo, la discriminante tra i bambini e gli adolescenti che riescono ad andare a scuola (e a completare quella dell’obbligo) e chi no è il nascere o meno in un Paese afflitto da un’emergenza, che sia un conflitto o un disastro naturale.

A livello globale, secondo i dati UNICEF, solo meno della metà degli adolescenti completa gli studi (43,3% degli adolescenti maschi, 45,1% delle ragazze). Il tasso più alto di non completamento dell’istruzione secondaria è rappresentato dai ragazzi del Niger (76%), seguito dalla Repubblica Centrafricana (67%) e dal Sud Sudan (65%).

Inoltre, se nei Paesi non soggetti ad emergenze umanitarie la quota di studenti che va alle superiori è del 54,8%, nei Paesi colpiti da conflitti e disastri il numero scende al 28,9%, e il 18,4% non ha mai nemmeno completato le elementari.

Se si fa invece un calcolo a livello globale, meno della metà degli adolescenti ha completato gli studi, e molti frequentano classi inferiori in età da liceo.

Di tutti i bambini che non vanno a scuola, 1 su 3 tra i 5 e i 17 anni vive in un Paese colpito da emergenze.

Oltre ai conflitti e ai disastri naturali, a complicare la situazione ci sono lo status sociale e il genere di appartenenza: i bambini più poveri rischiano di abbandonare la scuola 4 volte di più di quelli più ricchi, e le ragazze nei Paesi in guerra rischiano 2,5 volte di più dei ragazzi di trovarsi fuori dal sistema scolastico.

Un’ulteriore distinzione può essere fatta tra i bambini e gli adolescenti che vivono in un contesto urbano e quelli che vivono in un’area rurale: la percentuale di bambini e ragazzi che non va alle elementari nelle aree urbane è del 6,6% rispetto al 17,6% delle aree rurali; se invece si parla di istruzione secondaria, la percentuale diventa del 34,9% nelle aree urbane e del 56,5% in quelle rurali.

Un serpente che si morde la coda, abbiamo detto. Ragion per cui interrompere questo circolo vizioso diventa fondamentale. Si legge infatti nel Rapporto che l’istruzione è a maggior ragione importante per i bambini che vivono in Paesi sotto emergenza, perché solo la cultura e il sapere possono fornire stabilità e basi necessarie a superare il trauma vissuto e a partecipare alla ripresa economica della propria terra. Al contrario, si rischia solo di esacerbare una situazione già disperata.

Tuttavia non si possono raggiungere grandi risultati senza adeguati finanziamenti e, se da un lato ci sono sostanziali gap tra i fondi necessari e quelli investiti nella scolarizzazione, dall’altro c’è un ampio margine di miglioramento, considerando che il Rapporto UNICEF parla di appelli umanitari dedicati all’istruzione che sono in una percentuale inferiore al 4% del totale.

L’istruzione, a seconda che sia presente o assente, e che sia di qualità o meno, può creare e può distruggere il futuro di intere generazioni. Per questo è necessario un investimento urgente per assicurare a bambini e giovani la possibilità di imparare, conoscere e crescere.

Giorgia Martino