SDGs e migrazioni ordinate, sicure, regolari e responsabili: una svolta importante

Le migrazioni, libere o forzate, hanno accompagnato la storia dell’uomo fin dagli albori. Parlare oggi di migrazione è un tema delicato, ma occorre fare il punto sullo stato del fenomeno, definire politiche migratorie sistemiche e sostenere gli SDGs anche per limitare le migrazioni forzate. 
Settembre-Ottobre 2017

Inserire un Target sui flussi migratori fra gli Obiettivi di sviluppo sostenibile non era così facile e scontato. Le migrazioni sono una costante di ogni comunità, di ogni periodo storico e di ogni Stato. Fin da quando abbiamo cominciato a coltivare piante e allevare animali, la residenza dei gruppi ha visto qualcuno andarsene o arrivare. Qualche individuo (una modesta percentuale del totale) a un certo punto è emigrato, qualcun altro è immigrato. Liberi o forzati che risultino, sono fenomeni ineliminabili dalla storia e della geografia della presenza umana sulla Terra. In alcuni periodi più forzati: deportazioni, invasioni, colonizzazioni. In alcuni Stati meno liberi: persecuzioni, divieti, chiusure. Comunque sia, chi è riuscito a quantificarli scientificamente a livello internazionale in varie epoche storiche (a esempio all’inizio del secolo scorso e nel 2008) ha spiegato che circa il 3% della popolazione mondiale risiede in uno Stato in cui è immigrato. In tempi di grandi crescenti disuguaglianze sociali, dal 2016 al 2030 l’Onu si è assegnata una maggiore possibilità d’iniziativa sui flussi migratori in corso. Come è noto, il 25 settembre 2015 (due anni fa) è stata adottata dall’Assemblea Generale l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, con 17 Obiettivi (broad goals, il 13° riguarda il clima) e 169 precisi Target (specific targets), uno dei quali riguarda per la prima volta le migrazioni. All’interno del decimo obiettivo delle Nazioni Unite ("Ridurre l'ineguaglianza all'interno di e fra le Nazioni"), il settimo punto riguarda migrazioni che possano essere tendenzialmente sostenibili: tutti dovranno facilitare “ordinate, sicure, regolari e responsabili” migrazioni e mobilità delle persone, anche attraverso politiche migratorie pianificate e ben gestite. Si sta giustamente facendo il punto dopo i primi due anni in Italia e nel mondo sullo stato di attuazione di tutti i Goal e i Target, delle migrazioni poco ancora si è parlato. Ho spulciato su siti italiani e internazionali, su questo aspetto degli SDGs ancora quasi nessuno fa il punto. È toppo presto o è troppo delicato?

Riporto per esteso il riferimento alle migrazioni: 10.7 "Facilitare la migrazione ordinata, sicura, regolare e responsabile e la mobilità delle persone, anche attraverso l'attuazione di politiche migratorie programmate e ben gestite". Non si parla di migrazioni in termini di sostenibilità, non si parla esplicitamente di lotta alle migrazioni forzate. È, comunque, un passaggio importante che riguarda tutte le migrazioni e tutti i migranti, non solo chi fugge da persecuzioni e conflitti, da cambiamenti climatici e disastri. Si potrebbe e dovrebbe riflettere su ognuno dei quattro aggettivi scelti, anche per verificare se si riferiscono a entrambe (migrazione e mobilità), in che modo vada diversificata la mobilità emigratoria dalla mobilità immigratoria, come tradurli in competenti politiche migratorie nazionali ed europee, aperte e sistematiche, non emergenziali. Tutti i quattro aggettivi sono riferiti anche alle condizioni di chi emigra, tuttavia nella percezione diffusa l’ordine, la sicurezza, la regolarità, la responsabilità vengono associati soprattutto alla comunità in cui si immigra. Non sottovalutiamo il grande tema della sicurezza dal terrorismo: chiudere le frontiere non è risolutivo, come si è visto.

Fra tutti i migranti vi sono pure coloro che fuggono. Ora, nel passato, nel futuro. Molto ormai sappiamo dei rifugiati politici, quelli che hanno lo status di Refugee. Di fronte all’ancor più imponente numero di rifugiati climatici (per ora senza “riconoscimento”, come ha denunciato anche l’Enciclica papale) e di fronte alla vastità del fenomeno migratorio umano, andrà chiarito che cosa significa avere il diritto di restare ed essere liberi di migrare. Prima o poi bisognerà esplicitare che la prima questione è rispettare il “diritto di restare” nel luogo dove si è nati e cresciuti, un diritto che viene prima della stessa “libertà di movimento e di migrazione” prevista dall’articolo 13 della Dichiarazione Universale. Sostenere gli SDGs e gli impegni per lo sviluppo sostenibile, è un modo anche di criticare, avversare, limitare le migrazioni forzate, quegli stati e quei comportamenti umani che le determinano. Occorre individuare le misure specifiche, le politiche specifiche, gli aiuti specifici per intervenire alle origini delle migrazioni forzate o dopo che si sono verificate, sapendo che non esistono soluzioni eterne e universali.

Occorre comunque assistere e accogliere il profugo che arriva. Poi si potrebbe e dovrebbe “gestire” i flussi, a esempio cominciare a “riconoscere”, prevenire, aiutare coloro che fuggono a causa degli effetti dei cambiamenti climatici antropici globali (innalzamento del mare, aumento di frequenza e intensità degli eventi meteorologici estremi, desertificazione e siccità). Nell’accordo approvato alla ventunesima Conferenza delle Parti della Convenzione sui Cambiamenti climatici di Parigi 12 dicembre 2015 (oltre a un riferimento ai diritti dei migranti nel preambolo) risalta un riferimento ai "delocalizzati", ancora breve ma finalmente esplicito. Al paragrafo cinquanta si legge che dovranno essere definiti approcci integrati che scongiurino, minimizzino e indirizzino lo spostamento di persone dovuto agli impatti del cambiamento climatico. Siamo ancora soltanto all’avvio di un gruppo di lavoro e a raccomandazioni, all’interno del cosiddetto "Warsaw International Mechanism(capitolo dei “Loss and Damage” associati agli impatti del Climate Change, cominceranno a lavorare proprio nei primi mesi del 2016), meglio di niente.

di Valerio Calzolaio, giornalista e scrittore, autore di "Libertà di migrare"

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